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BURRI E MANNUCCI,

una storia anni Cinquanta

 Il sodalizio con il pittore Burri (altra mozione dell’Italia centrale), e le loro reciproche influenze, quasi un “pensare insieme” lo sollecitavano alla chiarificazione di una tematica originaria. Nacque così, in scultura, l’elegia: celebrazione degli orizzonti funebri e del compianto profondissimo, che significa presa di possesso e accadimento della profonda vita.

Emilio Villa, XXVIII Biennale di Venezia, Alfieri Editore, Venezia, 1956, pp. 128-130       

L’amicizia e la collaborazione artistica tra Burri e Mannucci nascono da un preciso dato biografico: nel 1946 Burri rientra in Italia a seguito di un periodo di prigionia in America e verrà ospitato da Mannucci a Roma sia a casa in via Mario de Fiori che nello studio in via Margutta. I due costruiranno un sodalizio sia amicale che lavorativo che confluirà in molte collaborazioni e nella comune vicinanza al gruppo romano Origine, insieme a Ballocco, Capogrossi e Colla, tra il 1951 e il 1955. I due artisti condividono alcune affinità umane e talune intellettuali, come per il similare intenso amore per la propria terra e campagna: la terra umbra per Burri e la campagna di Città di Castello; la terra marchigiana per Mannucci e la campagna di Fabriano e Macerata. Ciò che, però, lega i due artisti a livello lavorativo sono le fondamentali convinzioni formali comuni. Il confronto tra i Rilievi di Mannucci e i Cellotex di Burri esposti in mostra rende evidenti le “reciproche influenze” che hanno caratterizzato il rapporto tra i due artisti, nonostante sussistano anche importanti differenze. Come scrisse Giancarlo Politi, Appunti su Mannucci (da La Fiera Letteraria, Roma, 7 luglio 1963): “Mannucci non urla come Burri. Né è come l’umbro violento e dolce, crudele e deluso, ironico e sadico, nichilista e spietato. […] In Mannucci insomma c’è rassegnazione pure nella disperazione. […] Burri celebra la civiltà della plastica irridendola e sprezzandola con compiacenza; Mannucci invece celebra la civiltà dell’oro e della pietra filosofale con convinzione e serenità”. Entrambi, Burri e Mannucci, vogliono proporci due mondi senza speranza e senza illusione, ma se da un lato Burri impone perentoriamente un tema unico, dall’altro Mannucci propone una molteplicità di temi. Un punto di contatto fondamentale tra i due artisti è il fuoco, piegato, però, ad esigenze diverse. Per Mannucci il fuoco, nello specifico quello della fiamma ossidrica, rappresenta il mezzo attraverso il quale si realizza l’atto creativo e gli permette di stabilire un rapporto spontaneo e diretto con la materia; per Burri, invece, il fuoco agisce per sottrazione, con l’annullamento della materia. Da un lato, quindi, il fuoco come mezzo per trasformare e plasmare la materia, dall’altro il fuoco che distrugge e devasta. L’esposizione si snoda tra confronti che rendono visivamente evidenti le “reciproche influenze” tra l’opera di Burri e quella di Mannucci: un Rilievo di Mannucci che riecheggia un Cellotex di Burri, che a sua volta ricorda una Piastra dello scultore marchigiano. In conclusione, il legame che ha unito Burri e Mannucci si è declinato sia in affinità caratteriali e comuni passioni, sia in stimolanti confronti sui loro lavori, sulle finalità stesse dell’arte e dell’impiego della materia.

Credit: Filippo Tommasoli – courtesy Galleria dello Scudo, Verona

Alberto Burri, Cellotex, 1992, acrilico, pietra pomice e vinavil su cellotex applicato su tela, 99,5 x 132 cm

Edgardo Mannucci, Idea n. 13, 1959, piastra in scorie di ottone e rame, cm 65 x 55

 

INDIRIZZO:   Galleria Spazia – Via dell’Inferno, 5 – Bologna

ORARIO DI APERTURA: Dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30

La mattina su appuntamento.

INAUGURAZIONE:  Sabato 19 ottobre, dalle ore 18:00

FINISSAGE:            Sabato 30 novembre